DIFETTO DI CRESCITA FETALE (IUGR)

Normalmente la crescita fetale è esponenziale fino alla 20ª settimana di gravidanza, mentre diventa di tipo proporzionale nella seconda parte della gravidanza, con un rallentamento verso il termine. Il ritardo di crescita intrauterino è dovuto all'incapacità o all'impossibilità del feto di raggiungere il suo potenziale di crescita. Tale difetto esita in un peso inferiore di quello atteso per quell'età gestazionale (S.G.A.). Il metodo più valido per identificare e classificare l'I.U.G.R. sono le misurazioni ultrasuonografiche. I parametri biometrici fetali più usati sono la lunghezza del femore, la circonferenza cranica e soprattutto la circonferenza addominale che riflette una misura indiretta del fegato (e del suo contenuto in glicogeno), che insieme alla milza occupa quasi tutta la circonferenza addominale. In caso di ipossia, infatti, il dotto venoso aumenta la sua portata del 60-70%; ciò penalizza il fegato che viene ipoperfuso, e col cronicizzarsi della situazione depaupera il suo contenuto in glicogeno e diminuisce di volume. Dal rapporto fra circonferenza cranica e circonferenza addominale si deduce lo stato di "denutrizione fetale". La stima del peso fetale tramite misurazioni ecografiche ha un margine di errore di 300 grammi fino alla 30ª settimana gestazionale; tale margine aumenta fino a 500 grammi dopo tale epoca gestazionale. Generalmente il difetto di crescita intrauterino viene diviso in 2 tipi: simmetrico e asimmetrico. Il primo inizia in epoca gestazionale precoce e può essere evidenziato ultrasuonograficamente fin dalla 20ª settimana gestazionale; è interessato l'intero sviluppo corporeo con rallentamento di crescita della circonferenza cranica, della circonferenza addominale e della lunghezza fetale, mentre rimane nella norma la quantità di liquido amniotico. Il meccanismo fisiopatologico implicato è legato alla presenza di fattori che danneggiano il potenziale di crescita fetale con diminuzione della velocità di crescita e moltiplicazione cellulare (anomalie cromosomiche, infezioni congenite,ecc.). Il secondo tipo di difetto di crescita compare più tardivamente, di solito dopo la 30ª settimana di gravidanza, e si manifesta con diminuzione della circonferenza addominale delle masse muscolari degli arti e della quantità di liquido amniotico, mentre rimangono nella norma la circonferenza cranica e la lunghezza fetale. Il meccanismo fisiopatologico in questo caso è connesso con l'insufficiente apporto al feto di sostanze nutritive ed ossigeno (anomalie placentari, ipertensione, malattie cardiopolmonari, malattie renali, ecc.). Se il difetto di crescita inizia in epoche gestazionali precoci e la concentrazione delle proteine placentari nel plasma materno è normale, è importante fare una cordocentesi per approfondire la diagnosi (studio del cariotipo e della concentrazione delle immunoglobuline IgM nel sangue fetale); se il difetto di crescita, invece, inizia in epoche gestazionali tardive bisogna programmare il parto ed espletarlo non appena il feto raggiunge la maturità polmonare. L'incidenza del difetto di crescita ultrasuonograficamente accertato ammonta al 7% ed aumenta fino al 25% nelle gravidanze a rischio; dal punto di vista epidemiologico nella maggior parte dei casi (80%) il difetto di crescita si verifica in gravidanze senza alcuna complicanza apparente, mentre nelle restanti gravidanze sono presenti fattori di rischio anamnestico (pregressi figli S.G.A., pregresse morti fetali, pregresse gestosi), e fattori di rischio attuali (H.P.L.<10° centile, E.P.H.-gestosi, ipertenzione,). Il Difetto di Crescita Fetale, quindi, è da considerare un sintomo e non una malattia. L'h.P.L. (human Placental Lactogen) è un ormone proteico composto da 190 aminoacidi prodotto per la maggior quantità dagli elementi differenziati del sincizio-trofoblasto e secreto direttamente nella circolazione materna (spazi intervillosi). I geni per la sintesi dell'h.P.L. sono organizzati in un cluster sito nel braccio lungo del cromosoma 17. Ci sono tre geni per l'h.P.L. di cui solo due sono espressi nel tessuto placentare a termine. Variando il numero di delezioni di questi geni si spiegano i rari casi di deficienza di h.P.L. parziale o totale. Alcuni Autori sostengono l'utilità del dosaggio dell'h.P.L. per monitorare la funzionalità placentare, ritenendo i bassi livelli plasmatici materni di h.P.L. uno dei segni dell' insufficienza placentare, ed essendo il benessere fetale condizionato da un'adeguata funzionalità placentare, l'h.P.L. riflette indirettamente la situazione fetale, tanto che valori <10° centile depongono per una prognosi fetale infausta (fetal danger zone di Spellacy). La produzione di h.P.L. soggiace alla legge di azione di massa, e la sua concentrazione nel plasma materno dipende, oltre che dalla massa di trofoblasto funzionalmente attivo, dalla qualità del flusso ematico negli spazi intervillosi. Ciò che contribuisce considerevolmente al volume placentare è il contenuto di sangue che vi circola, e la causa principale dello scarso volume placentare è un ridotto apporto sanguigno alla placenta. A tal proposito alcuni Autori consigliano la misura ultrasuonografica del volume placentare nel secondo trimestre di gravidanza: un volume placentare inferiore alla norma a 20-22 settimane di gravidanza può predire un ritardo di crescita fetale, che di solito si manifesta in un' epoca gestazionale più tardiva. Con la Flussimetria Doppler, inoltre, è possibile sia evidenziare un'insufficienza feto-placentare sia monitorizzare l'effetto del trattamento con Acido Acetilsalicilico a basse dosi. Una bassa concentrazione plasmatica di h.P.L. può essere, quindi, dovuto sia ad una ipofunzione placentare, sia ad un ridotto flusso ematico utero-placentare. Questo ormone esplica un'importante influenza sul metabolismo glucidico, lipidico e protidico materno, creando i presupposti per una regolare crescita fetale. A digiuno esso esplica un effetto anti-insulinico (diabetogeno), esalta la lipolisi e induce la gluconeogenesi; dopo il pasto, invece, esalta l'azione dell'insulina ed inibisce la lipolisi e la gluconeogenesi. Una bassa concentrazione plasmatica materna di h.P.L. può correlarsi con un difetto di crescita intrauterino, ovvero con un basso peso alla nascita nei casi in cui l'insufficienza feto-placentare rende opportuno l'espletamento precoce del parto.

L'E.P.H.-Gestosi (o Pre-eclampsia secondo la terminologia anglosassone) è una sindrome clinica che  può presentarsi in gravidanza, ed è caratterizzata da una tipica triade sintomatologica: edemi, proteinuria ed ipertensione. La sintomatologia esordisce, di solito, nel terzo trimestre. Oltre alla triade sintomatologica già citata, importanza sia diagnostica che prognostica hanno gli indici di funzionalità epatica e renale (transaminasi, azotemia, uricemia, creatininemia). L'E.P.H.-gestosi complica circa il 7% delle gravidanze. L'eziopatogenesi di tale patologia è ancora oscura e controversa. Sembra che sia implicata la scarsa produzione di alloanticorpi materni, il cui ruolo naturale è quello di mascherare gli antigeni trofoblastici; ciò faciliterebbe la reazione immunitaria materna verso il prodotto del concepimento provocando una sorta di "rigetto". La formazione di immunocomplessi ed il loro deposito a livello vascolare sarebbe poi alla base delle lesioni placentari, renali ed epatiche, responsabili della grave prognosi materna oltre che feto-neonatale. Ciò che ne consegue è lo sviluppo di un trofoblasto "annichilito" dalla reazione materna, che produrrebbe una scarsa quantità di prostaciclina. Durante l'invasione trofoblastica deciduale, infatti, il trofoblasto produce prostaciclina, che controbilancia l'effetto di aggregante piastrinico del tromboxano prodotto dalle piastrine stesse, evitando così che il sangue coaguli negli spazi intervillosi, dove raggiunge la velocità minima. Quando l'equilibrio prostaciclina corionica/tromboxano piastrinico è alterato (solitamente per scarsa produzione di prostaciclina), ne consegue un'alterazione dell'emodinamica feto-placentare che porterebbe ad una sofferenza fetale cronica. Nei casi meno gravi si cerca di prevenire l'E.P.H.-gestosi o migliorare le condizioni emodinamiche feto-placentari ricreando un equilibrio prostaciclina/tromboxano abbassando la produzione di tromboxano piastrinico; ciò è possibile bloccando selettivamente la ciclossigenasi piastrinica con la somministrazione di acido acetilsalicilico per os a basse dosi (1mg./Kg/die), o eparina sottocute previo dosaggio dell'antitrombina IIIª e monitorando il P.T. e il P.T.T. (Calciparina 5000 U.I. ogni 12 ore s.c.). Lo scopo è quello di procrastinare il parto nel tentativo di raggiungere la maturità fetale. Se le condizioni materne, però, sono gravi è indicato il parto a qualsiasi epoca gestazionale. E' chiaro, quindi, che il difetto di crescita e la prematurità, con il connesso rischio di sviluppare la M.M.J.P. e/o emorragia endocranica, incidono molto sull'outcome di questi bambini. La gestosi è considerata grave quando gli edemi (solitamente agli arti ed al viso) non regrediscono dopo il riposo notturno, quando l'aumento di peso è >500 grammi/settimana, qundo la proteinuria è >2 grammi/litro, ma soprattutto quando l'ipertenzione diastolica è >110 mm Hg. In tutti i casi è importante monitorare la pressione arteriosa, la proteinuria, gli indici di funzionalità renale ed epatica, PT, PTT, FDP, piastrine, (rischio di C.I.D.), valutare il fundus oculi, il riposo a letto. Per quanto riguarda il feto è opportuno eseguire controlli cardiotocografici, dosaggi di HPL ed E3. La terapia antipertensiva, ed antiedema risolvono solo parzialmente il quadro clinico, e talvolta bisogna espletare il parto in età gestazionali precocissime. Se l'età gestazionale lo consente si può entare di indurre la produzione di surfactant farmacologicamente.